Lavoro

Art. 18 St. Lavoratori: va reintegrato al suo posto e con la stessa paga il dipendente illegittimamente licenziato. Cassazione Civ. Sez. Lavoro Sent. 14142/2002

Licenziamenti – Ordine di Reintegra – Il lavoratore reintegrato può
essere adibito ad altre mansioni purchè equivalenti e retribuite in misura
almeno pari alle precedenti.  Non è legittimo il passaggio ad altre
mansioni se queste finiscono per vanificare la professionalità  acquisita dal
dipendente nel periodo precedente. Al dipendente vanno quindi corrisposte le
differenze retributive relative alle mansioni inferiori in cui erano stato
riassunto.

La sostituzione del lavoratore licenziato con altro non costituisce
legittima esigenza del datore di lavoro per esercitare il potere di trasferire
il lavoratore da una ad altra unità  produttiva , a ragione della insussistenza
di sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive
. (Massima a cura
della Redazione) 

Suprema Corte di
cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.14142/2002

 

Svolgimento del processo

Con ricorso de 22 luglio 1997 al pretore di Milano, C. C. ed altri qui
indicati in epigrafe esponevano di aver ottenuto dalla medesima autorità 
giudiziaria una sentenza del 28 novembre 1996, dichiarativa
dall’illegittimità  del licenziamento loro intimato dalla spa FIAT nel
dicembre 1995, e contenente l’ordine di reintegrazione nel posto di
lavoro ai sensi dell’articolo 18 legge 300/70. Con provvedimento del
dicembre 1996 la datrice di lavoro aveva assegnato gli attuali ricorrenti
ad uno stabilimento diverso da quello di provenienza, cosí violando
l’articolo 18 citato, con la conseguenza che essi, a differenza dei
colleghi appartenenti a quest’ultimo stabilimento erano stati collocati
prima in contratto di solidarietà  e poi in cassa integrazione guadagni ed
avevano cosí subito una perdita economica.
Tanto esposto, i ricorrenti chiedevano l’annullamento sia del
provvedimento del dicembre 1996 sia delle collocazioni ora dette, nonchè
la condanna della spa FIAT pagare le differenze retributive con
rivalutazione ed interessi.
Costituitasi la convenuta, il pretore accoglieva la domanda con decisione
del 20 dicembre 1997, confermata con sentenza del 12 novembre 1999 dal
tribunale, salvo che nella parte concernente il cumulo di interessi e
rivalutazione, che veniva negato sulla base dell’articolo 22, comma 36,
legge 724/94.
Il collegio d’appello osservava che i lavoratori, provenienti
dall’unità  produttiva "enti centrali", erano stati, in sede
di reintegrazione ex articolo 18 citato, assegnati alle diverse unità 
produttive "carrozzeria" e "meccaniche" e che tale
assegnazione violava la disposizione di legge ora citata giacchè questa,
nel prevedere la reintegrazione del lavoratore nel luogo e nelle mansioni
originarie, permetteva bensí al datore di lavoro di effettuare mutamenti
ma solo per cause preesistenti all’ordine giudiziale di reintegrazione e
non comprendenti l’avvenuta assegnazione di altri lavoratori ai posti già 
occupati dai licenziati, ciò che si era verificato nel caso di specie,
con conseguente danno per gli attuali appellati.
Contro questa sentenza ricorrono per cassazione in via principale le
società  per azioni FIAT partecipazioni (attuale denominazione di FIAT spa)
e FIAT (che si definisce successore a titolo particolare nel diritto
controverso) e in via incidentale C. C. ed altri.
A ciascun ricorso corrisponde un controricorso.

Motivi della decisione

I due ricorsi, principale e incidentale, debbono essere riuniti ai
sensi dell’articolo 335 Cpc.
Col primo motivo le ricorrenti principali lamentano vizi di motivazione,
dati dal non avere la sentenza impugnata chiarito se, in sede di
reintegrazione ex articolo 18 legge 300/70, il datore di lavoro possa
assegnare il lavoratore illegittimamente licenziamento a mansione diversa
purchè equivalente secondo la previsione dell’articolo 2103 Cc, ossia
senza bisogno di giustificazione, oppure se anche tale mutamento di
mansione debba essere giustificato, come il trasferimento ad altra unità 
produttiva, da ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Col secondo motivo esse deducono ancora il vizio di motivazione, in realtà 
sostenendo la violazione dell’articolo 2103 citato, per avere il
tribunale escluso che tra le ragioni organizzative, giustificative dello
ius variandi spettante all’imprenditore, stia l’avvenuta occupazione
dei posti già  spettanti ai lavoratori licenziati.
Col terzo motivo la carenza di motivazione viene ravvisata dalle
ricorrenti nel non avere il giudice d’appello precisato se nella specie
siasi trattato di semplice mutamento delle mansioni o di trasferimento ad
altra unità  produttiva.
Col quarto motivo esse, evocando l’articolo 2103 citato, sostengono che
il semplice mutamento di mansioni, purchè equivalenti, non deve essere
giustificato dall’imprenditore.
I quattro motivi, oggetto di esame unitario perchè connessi, sono privi
di fondamento.
La norma da tener presente in sede di scrutinio è anzitutto l’articolo
18, primo comma, legge 300/70, secondo cui il giudice con la sentenza
dichiarativa dell’inefficacia del licenziamento "ordina al datore
di lavoro, imprenditore e non imprenditore di reintegrare il lavoratore
nel posto di lavoro". L’articolo 2103 Cc contiene due disposizioni
che qui interessano: il prestatore di lavoro deve essere adibito alle
mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla
categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni
equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione
della retribuzione. "Il lavoratore non può essere trasferito da una
unità  produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche,
organizzative e produttive".
Unità  produttiva è ogni articolazione autonoma dell’azienda avente,
sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità  ad esplicare in tutto
o in parte l’attività  di produzione di beni o servizi (Cassazione
5920/87; 7196/96) ossia ogni sede, stabilimento, filiale o reparto
autonomo (articolo 35 legge 300/70; Cassazione 5153/92).
Sull’interpretazione delle dette norme la giurisprudenza di questa corte
ha reso le seguenti affermazioni.
L’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di
reintegrazione implica il ripristino della posizione del lavoro del
dipendente illegittimamente licenziato, la cui riammissione in servizio
deve quindi avvenire nel luogo e nelle mansioni originarie (Cassazione
5993/95). Il lavoratore deve cosí conseguire la medesima utilità ,
patrimoniale e non patrimoniale, di cui già  fruiva dell’illegittimo
licenziamento.
Spetta nondimeno al datore lo ius variandi di cui all’articolo 2103
citato.
Ne consegue la possibilità  di trasferimento da una ad altra unità 
produttiva in presenza di sufficienti ragioni tecniche, organizzative e
produttive, tra le quali non rientrava tuttavia la sostituzione del
lavoratore licenziato con altro, sostituzione che deve ritenersi
provvisoria e condizionata alla definitiva reiezione giudiziale
dell’impugnativa del licenziamento, onde il sopravvenuto ordine di
reintegrazione ex articolo 18 citato impone al datore, quali che siano gli
impegni da lui assunti verso il sostituto, di riammettere il licenziato
nello stesso posto precedentemente occupato (Cassazione 3758/87; 77/1998;
13727/00).
Per l’assegnazione a mansioni equivalenti e retribuite in almeno pari
misura l’articolo 2103 citato non richiede, come s’è visto, le
ragioni tecniche, organizzative e produttive, con la conseguenza che essa
è frutto dell’esercizio libero dell’iniziativa economica, spettante
all’imprenditore ai sensi dell’articolo 41 Costituzione.
Tale libertà  non può però tradursi in mero arbitrio onde essa va
esercitata nei limiti di legge, le cui disposizioni imperative non possono
essere dall’imprenditore nè violate nè eluse. Le sue determinazioni in
ordine alla gestione dell’impresa non sono perciò sindacabili nella
loro opportunità  dal giudice, il quale può verificare solo la
corrispondenza allo scopo dichiarato ed il messo causale col provvedimento
in concreto adottato (Cassazione 6408/93; 11634/98; 27/2001; 9310/01).
Ciò significa, quanto all’assegnazione a mansione equivalente, che non
sempre sono legittimi i cosiddetti passaggi orizzontali nell’ambito
della medesima categoria contrattuale. Cosí quando il passaggio cagioni
la vanificazione della professionalità  acquisita (Cassazione 1038/85;
539/88; 4561/95; 3340/96; 5162/97; 10775/97; 1615/98), oppure diminuisca
l’autonomia e la discrezionalità  del lavoratore o, ancora, ne
pregiudichi gli sviluppi di carriera (Cassazione 6565/85; 87/1987;
10333/97) o comporti una prestazione lavorativa più pesante o rischiosa
(Cassazione 5921/84).
In tutti questi esempi l’esercizio della libertà  d’impresa si traduce
in un’elusione dell’articolo 2103 citato, secondo cui il passaggio ad
altre mansioni è lecito quando queste siano effettivamente e non solo
formalmente equivalenti e non anche quando esso si risolva comunque in una
perdita per il lavoratore.
Nel caso di specie il tribunale ha incensurabilmente accertato in fatto
che gli attuali controricorrenti furono trasferiti da una ad altra unità 
produttiva (dalla "enti centrali" alla "carrozzeria" o
alla "meccaniche"), che il trasferimento venne giustificato solo
con la sostituzione, nei posti già  occupati, dei lavoratori licenziati
con altri, e che esso comportò per i licenziati il danno patrimoniale da
collocazione prima in contratto di solidarietà  e poi in cassa
integrazione guadagni.
Nel considerare illegittimo tale trasferimento il collegio di merito si è
esattamente uniformato alle massime di questa corte sopra riportate onde
si rivelano non fondate le doglianze delle ricorrenti principali.
Col primo motivo i ricorrenti incidentali lamentano che la sentenza
impugnata abbia escluso il cumulo ex articolo 429 Cpc di interessi e
rivalutazione in base articolo 22, comma 36, legge 724/94, il quale
prevede, per le retribuzioni maturate dopo il 31 dicembre 1994 e spettanti
a dipendenti pubblici e privati, la detrazione dell’importo degli
interessi da quello spettante per svalutazione.
Il motivo è fondato poichè detta disposizione è stata dichiarata
illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza 459/00 limitatamente
alle parole "e privati". Stante l’effetto retroattivo delle
pronunce di illegittimità  costituzionale e trattandosi qui di rapporti di
lavoro pacificamente privati e non esauriti, ossia ancora sub iudice
quando è stata pubblicata la sentenza ora citata, la decisione del
tribunale di Milano deve essere cassata sul punto.
Non essendo necessari nuovi accertamenti di fatto la corte ai sensi
dell’articolo 384, primo comma, Cpc può decidere nel merito,
condannando la spa Fiat auto a pagare ai ricorrenti incidentali interessi
e rivalutazione delle somme dovute.
Il fatto che il motivo del ricorso sia stato accolto per ius superveniens
induce a mantenere ferma la parziale compensazione delle spese del grado
di appello, già  decisa dal tribunale.
Con ciò rimane assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale,
concernente appunto la detta compensazione.
La statuizione pretorile sulle spese del giudizio di primo grado può
parimenti rimanere ferma, mentre per questa fase di legittimità  vale il
criterio della soccombenza di cui all’articolo 91 Cpc.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello principale, accoglie il
primo motivo di quello incidentale e dichiara assorbito il secondo, cassa
in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la FIAT
partecipazioni spa e la FIAT spa in solido a pagare gli attuali ricorrenti
incidentali interessi e rivalutazione ex articolo 429 Cpc sulle somme
capitali; conferma la statuizione dei giudici di merito sulle spese e
condanna le ricorrenti principali in solido a pagare le spese di questo
giudizio di legittimità  in euro 13,00, oltre ad euro 3.500.00 per
onorario.

Roma, 16 aprile 2002.

Depositata in Cancelleria il 2 ottobre 2002.

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