Lavoro

La tutela effettiva del soggetto portatore di handicap non può essere fatta valere quando il relativo esercizio venga a ledere le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro. Cassazione Lavoro, sentenza n.12692/2002

Suprema Corte di Cassazione,
Sezione Lavoro, sentenza n.12692/2002

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

Sezione Lavoro

( )

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da

F.G., elettivamente domiciliato in Roma via Barbiellini
Amidei 43, presso lo studio dell’avvocato Studio Mura e Quarti,
rappresentato e difeso dall’avvocato Ugo Di Pirro, giusta delega in
atti:

ricorrente

contro

 

Poste Italiane Spa, in persona del legale rappresentate
pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma v.le Europa 190, presso lo
studio dell’avvocato Concetta Marrari, che lo rappresenta e difende,
giusta delega in atti;

controricorrente

nonchè contro

 

V.M.E.

intimata

 

 

avverso la sentenza n. 114/99 del tribunale di Nuoro,
depositata il 30/03/99 – R.G.N. 81/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/02 dal Consigliere ( )

udito l’Avvocato Di Pirro;

udito l’Avvocato Marrari;

udito il P.M. ( ) che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Nuoro G.F. esponeva di
lavorare alle dipendenze dell’Ente Poste Italiane con la qualifica di
Dirigente Principale di Esercizio presso l’Ufficio Succursale n. 3 di
Nuoro e di avere fatto, in data 14 dicembre 1994, domanda (a seguito della
sentenza n.166/94 del T.A.R. Sardegna) per l’assegnazione ex art. 33,
comma quinto, legge 104/1992, del posto di dirigenza dell’Ufficio di
Dorgali, stante il suo stato di unico familiare della madre L.C., malata
ed invalida con diritto ai benefici della legge citata.

Aggiungeva che, avendo sollecitato numerose volte, e
senza esito, riscontri alla sua richiesta, si vedeva costretto a
rivolgersi all’Autorità  Giudiziaria e, pertanto, chiedeva che venisse
dichiarata la illegittimità  del provvedimento di ricollocazione della
sig.ra M. E. V. all’Agenzia di Base di Dorgali dell’Ente Poste
Italiane nonchè l’illegittimità  del mancato provvedimento di distacco
temporaneo di esso F. alla suddetta Agenzia, con condanna dell’Ente al
risarcimento dei danni, in proprio favore, causati dai provvedimenti
illegittimi impugnati, nella misura di lire 60.000.000 o in quella
ritenuta equa, oltre vittoria di spese.

L’Ente Poste si costituiva resistendo al ricorso con
articolate argomentazioni.

Con sentenza dell’11 febbraio – 3 aprile 1997, il
Pretore rigettava la domanda, ritenendo la insussistenza del diritto,
vantato dal ricorrente, di ottenere il richiesto mutamento del luogo dove
esercitare l’attività  lavorativa, al sensi dell’art. 33 comma V della
legge 104 del 1992, in assenza delle condizioni occorrenti a tal fine per
il riconoscimento del beneficio ed, in particolare, tenuto conto delle
condizioni d’organico e del carico di lavoro della sede di provenienza
dello stesso F., che non consentivano l’invocato trasferimento senza
creare disservizi intollerabili per l’Ente, e della situazione
dell’ufficio di destinazione sotto il profilo del carico di lavoro e
dell’organico in servizio.

Avverso tale decisione proponeva appello il F.
denunciando come erronea la decisione di primo grado, specie sotto il
profilo del mancato accertamento della illegittimità , in quanto
immotivata, della reintegrazione di altra dipendente (M.E.V.) presso
l’ufficio di Dorgali, e, per converso, del mancato riconoscimento del
proprio diritto ad esservi distaccato ai sensi dell’art. 33, comma V
della legge citata.

Ricostituitosi il contraddittorio, l’Ente Poste
contestava il gravame, chiedendone il rigetto. La V. rimaneva contumace.

Con sentenza del 24 – 30 marzo 1999, l’adito
Tribunale di Nuoro, condividendo le motivazioni del Giudice di primo
grado, rigettava l’appello.

Per la cassazione di tale decisione ricorre G.F. con un
unico, articolato motivo. Resiste la Poste Italiane S.p.A. con
controricorso. M.E.V. non si è costituita.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione
e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 116 c.p.c. in relazione: a) al
disposto della sentenza n. 166/94 del T.A.R. Sardegna; b) alle
disposizioni impartite con la Nota Centrale UL/2105/5 del 9 novembre 1994
per dare esecuzione alla suddetta sentenza; c) alle

disposizioni della Circolare Centrale 2/ter del 28
agosto 1994 richiamata espressamente dalla Nota sub b); d) agli impegni
assunti dalla Direzione Provinciale di Nuoro con Nota Prot. 36784/PC/CNS
del 10 dicembre 1994; e) alle disposizioni di cui alla Circolare n. 2 Prot.
DG/2803 del 2 aprile 1994 dell’Ente Poste in merito all’applicazione
dell’art. 33 comma 5 della legge 5 febbraio 1992 n. 10 e richiamate
dalla Sede della Sardegna con Nota Prot. 010193/I/MRC del 7 gennaio 1995,
"attraverso la reiterata se non omessa, insufficiente,
contraddittoria motivazione circa i prospettati punti decisivi della
controversia" (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Più precisamente, il ricorrente, dopo avere
ricostruito gli sviluppi dei molteplici eventi giudiziari, riguardanti la
vicenda in oggetto, ripercorrendo, in parte, questioni di fatto sottoposte
ai giudici di merito, ed altre, poste fuori del processo, ancorchè
connesse; e dopo avere puntualizzato di essere stato trasferito, come
richiesto, all’ufficio di Dorgali solo con decorrenza dall’l febbraio
1997, mostra di dolersi della omessa o, comunque, inadeguata motivazione
in ordine alla valutazione di detti fatti, che, correttamente considerati,
avrebbero condotto ad affermare il proprio diritto al trasferimento
richiesto, sulla base dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del
1992, con conseguente condanna della società  Poste Italiane al
risarcimento dei danni derivati dalla "tardività " del
provvedimento.

Il ricorso è infondato.

Giova premettere che l’art. 33, comma 5, della legge
5 febbraio 1992 n. 104 (applicabile alla fattispecie ratione temporis),
detta testualmente: "il genitore o familiare lavoratore, con rapporto
di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità  un parente o
affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a
scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio
domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra
sede".

Tale disposizione – come chiarito da questa Corte,
chiamata a pronunciarsi sulla materia (cfr., in particolare, Cass. 20
gennaio 2001 n. 829) – fa parte di una normativa, quella della legge
quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti delle
persone handicappate, il cui complessivo disegno è fondato
sull’esigenza di perseguire un evidente interesse nazionale, stringente
ed infrazionabile, quale è quello di garantire in tutto il territorio
nazionale un livello uniforme di realizzazione di diritti
costituzionalmente fondamentali dei soggetti portatori di handicap (cfr.
in tali sensi Corte Cost. 29 ottobre 1992 n. 406).

Si è venuta cosí a realizzare una tutela del
portatore di handicap destinata ad incidere in settori diversi,
prevedendosi interventi di tipo sanitario ed assistenziale, forme concrete
di integrazione scolastica e di inserimento nel campo della formazione
professionale e nell’ambiente di lavoro, e contemplandosi altresí
l’eliminazione di tutti quegli ostacoli quali, ad esempio, le barriere
architettoniche) che limitano il regolare dispiegarsi della vita di
relazione per ledere – attraverso una non completa possibilità  di
esercizio di diritti costituzionalmente garantiti – la sua
"persona".

In tale contesto normativo non poteva non attribuirsi
il dovuto rilievo anche all’istituto familiare perchè non vi è forse
settore in cui la dedizione alla famiglia risulti maggiormente utile di
quanto lo sia per l’assistenza ed il sostegno degli handicappati.

Ed appunto in un’ottica di adeguato soddisfacimento
delle indicate esigenze va letto l’art. 33 della legge n. 104 del 1992,
e – per quanto attiene alla presente decisione – il quinto comma di detto
articolo, che tende al "mantenimento" della convivenza tra il
genitore e il lavoratore familiare – con rapporto di lavoro pubblico e
privato – ed un suo parente o affine entro il terzo grado handicappato,
assistito con continuità . Il lavoratore, infatti, ha diritto a scegliere
la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio ed, inoltre, non può
essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

Tale diritto che trova la sua ratio nell’esigenza di
evitare l’interruzione dell’effettiva ed attuale convivenza, che
potrebbe avere negative ricadute sullo stato fisico e psichico
dell’handicappato, non risulta però illimitato.

Ed invero, come è dimostrato dall’inciso "ove
possibile", di cui al citato quinto comma dell’art. 33, il diritto
alla effettiva tutela dell’handicappato, al cui perseguimento devono
partecipare anche lo Stato, gli enti locali e le Regioni, nel quadro dei
principi posti dalla legge – e secondo le modalità  ed i limiti potrebbe
non essere fatto valere, alla stregua del generale principio del
bilanciamento degli interessi, allorquando l’esercizio del diritto
stesso venga a ledere le esigenze economiche ed organizzative del datore
di lavoro perchè tutto ciò – segnatamente per quanto attiene ai rapporti
di pubblico impiego può tradursi in un danno per la collettività .

Correttamente, pertanto, il Tribunale di Nuoro, ha
tenuto a precisare che la situazione giuridica volta al riconoscimento del
beneficio invocato dal F., e conseguente alla presentazione della domanda
di trasferimento o di applicazione col corredo della documentazione
richiesta ai fini dello stesso beneficio (tra cui l’attestazione della
necessità  di assistenza della propria madre per effetto della sua
inabilità ), non poteva essere ritenuta espressione di un diritto
soggettivo assoluto e privo di condizioni.

Coerentemente con siffatta osservazione il Giudice a
quo
, nel pervenire alle sue conclusioni, ha fatto riferimento a dati
oggettivi esterni alla situazione soggettiva del richiedente, relativi, da
un lato, all’ufficio di destinazione oggetto di domanda, e,
dall’altro, all’ufficio di provenienza dello stesso istante; più in
generale, alle esigenze organizzative dell’azienda interessata al
trasferimento.

Sotto i suddetti profili il Tribunale ha tenuto a
chiarire che era da condividere la valutazione del Pretore secondo cui le
condizioni dell’organico ed il carico di lavoro dell’ufficio di
provenienza del ricorrente ed, al contempo, le necessità  organizzative
dell’Ente, che il trasferimento, ovvero il distacco del F., in assenza
di possibilità  di immediato rimpiazzo, avrebbero creato oggettivi
disservizi per detto Ente. Non poteva quest’ultimo, infatti – ad avviso
del Tribunale -, essere obbligato a restare privo di direttore (qualità 
pacificamente documentata in atti) in relazione all’ufficio in parola,
anche tenuto conto delle specifiche attribuzioni dello stesso, avuto
riguardo alla detenzione delle chiavi della cassaforte ed ai correlati
incombenti riguardanti la consegna dei valori; tanto più che assumevano
assorbente rilievo le esigenze organizzative e produttive dell’azienda,
e la considerazione delle finalità  pubblicistiche del servizio svolto,
che imponevano una efficiente organizzazione degli uffici ed una razionale
distribuzione del personale nelle sedi alla stregua della situazione
globale del servizio e delle risorse, anche personali, da gestire.

Ne derivava che lo stesso Ente non poteva
correttamente, anche in via indiretta, neppure essere costretto alla
utilizzazione di personale con mansioni inferiori per ricoprire il posto
di dirigente rimasto scoperto.

Ma il Tribunale ha anche preso in considerazione
l’obbligo imposto dalla sentenza n. 166/94 del TAR Sardegna – richiamata
dal ricorrente – di valutazione comparativa delle posizioni di entrambi i
richiedenti in causa (il F. appunto, e M.E.V.), ritenendo assolto tale
obbligo, in quanto era risultata provata, sulla base delle eccezioni
interposte e delle difese svolte dalla convenuta in primo grado, la scelta
operata comparativamente allorchè l’Ente aveva preferito la detta V. al
ricorrente per l’assegnazione del menzionato ufficio di Dorgali, alla
stregua in particolare delle condizioni di organico e del carico di lavoro
delle sedi interessate dalle richieste di trasferimento e delle esigenze
dell’Ente, come sopra richiamate.

Appare, inoltre, corretta la sentenza impugnata sul
punto della necessità  o meno di un onere di motivazione del provvedimento
di denegato trasferimento, alla luce della giurisprudenza di questa Corte
per la quale l’onere del datore di lavoro di indicare le ragioni poste
sulla base del trasferimento del lavoratore (ovvero, può ritenersi, del
mancato trasferimento) sorge soltanto a seguito di una esplicita richiesta
– nella specie neppure dedotta – di quest’ultimo, non essendo all’uopo
sufficiente una mera contestazione (in forma scritta) dell’operato del
datore di lavoro (ex plurimis, Cass. 18 febbraio 1994 n. 1563),
fermo restando la necessità  di svolgere i richiesti accertamenti in caso
di contestazione giudiziale.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, non ravvisandosi,
nel

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