Assegno di divorzio – Determinazione – Rilevanza della convivenza more uxorio del coniuge separato. Cass. Sentenza Sezione I Civile n. 13060 del 9 settembre 2002
Corte Suprema di Cassazione
Giurisprudenza Civile e Penale
Sentenza n. 13060 del 9 settembre 2002
ASSEGNO DI DIVORZIO – DETERMINAZIONE – RILEVANZA DELLA CONVIVENZA
MORE UXORIO DEL CONIUGE SEPARATO.
(Sezione Prima Civile – Presidente A. Grieco – Relatore G.V.A.
Magno)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 2.9.1993 il tribunale di Lucca, adito da
E. A., dichiarò la cessazione degli effetti civili del matrimonio
celebrato il 16.1.1966 dalla predetta con R. T., affidò la figlia
minorenne (omissis) alla madre, stabilendo le modalità di visita
da parte del padre, determinò in Lire 700.000 mensili la misura
dell’assegno di divorzio ed in Lire 900.000 quello di mantenimento della
minore, entrambi rivalutabili.
Sull’appello proposto dall’A. e sull’appello incidentale del T.
avverso detta sentenza, la corte d’appello di Firenze, con sentenza
depositata in data 11.12.1995, rideterminò l’assegno di divorzio posto
a carico dell’appellante incidentale, portandolo Lire 3.000.000 mensili;
confermò, nel resto, la sentenza appellata.
Propose ricorso per cassazione il T., cui resistette la A. con
controricorso e proponendo, a sua volta, ricorso incidentale ed un
ricorso autonomo, fondati sullo stesso motivo.
Con sentenza n.11095 del 5.11.1998, questa corte, in accoglimento
parziale del ricorso principale ed in accoglimento del ricorso della A.,
dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, cassò la sentenza
impugnata e rinviò la causa ad altra sezione della corte d’appello di
Firenze, stabilendo che l’indagine doveva essere prioritariamente
indirizzata ad accertare il tenore di vita dei coniugi, sul presupposto
di diritto dell’indefettibile subordinazione dell’assegno di divorzio al
fatto che, per mancanza di mezzi adeguati o per l’impossibilità , dovuta
a ragioni oggettive, di procurarseli, il coniuge richiedente subisca un
deterioramento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio o
corrispondente ad aspettative ragionevolmente e legittimamente maturate
in costanza di matrimonio.
Il giudice di rinvio, davanti al quale le parti avevano riassunto la
causa, con sentenza depositata il 2.11.1999, escluse il diritto del T. a
vedere e tenere con sè la minorenne (omissis) contro la
volontà della stessa; confermò la misura dell’assegno di divorzio,
come stabilita originariamente dal tribunale di Lucca, in Lire 700.000
mensili; e condannò la A. a restituire al T. le maggiori somme
eventualmente percepite a tale titolo; liquidò le spese dell’intero
giudizio e le pose per due terzi a carico del T., dichiarando compensato
tra le parti l’ulteriore terzo.
E. A. propone ricorso per cassazione i avverso tale sentenza, fondato
su cinque motivi di gravame ed illustrato con successiva memoria.
Resiste R. T. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo mezzo di gravame, E. A. censura la sentenza pronunziata
dalla corte di Firenze in sede di rinvio, per violazione e falsa
applicazione dell’articolo 5, sesto comma, della legge 1 dicembre 1970,
n. 898, successivamente modificato dalle leggi 1 agosto 1978, n. 436, e
6 marzo 1987, n. 74, e per omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia.
Deduce, in merito, che la corte fiorentina, dopo avere i giustamente
affermato il diritto di essa A. a percepire l’assegno di divorzio – non
essendo ella in grado coi propri mezzi, assolutamente inadeguati
rispetto a quelli notevolmente elevati dell’ex coniuge, di mantenere un
tenore di vita equiparabile a quello goduto in costanza di matrimonio -,
finisce per contenere la misura dell’assegno in Lire 700.000 mensili,
evidentemente troppo esigua e, quindi, inidonea a garantire lo scopo.
Occorre precisare, innanzitutto, che la sentenza 5.11.1998 di questa
corte, citata nella parte narrativa – premesso che l’attribuzione
dell’assegno di divorzio dipende indefettibilmente dal positivo
deterioramento del tenore di vita del richiedente, causato dalla
mancanza di mezzi adeguati o dall’oggettiva impossibilità di
procurarseli, rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio ovvero
a quello ragionevolmente e legittimamente sperabile in base alle
aspettative maturate in costanza di matrimonio – fissava il principio
per cui indagine prioritaria, al fine di stabilire la misura di detto
assegno "doveva essere quella diretta ad accertare il tenore di
vita dei coniugi, inteso nel senso sopra precisato, da assumere come
parametro di riferimento ai fini dell’attribuzione dell’assegno".
Accertamento, questo, che era mancato nella prima sentenza della corte
d’appello di Firenze, la quale si era limitata "a prendere in esame
i redditi professionali attuali del T. e quelli derivanti dalle sue
proprietà immobiliari ed a confrontare la sua posizione economica con
quella della A.".
Al fine di giudicare sulla fondatezza di questo motivo di gravame,
bisogna quindi verificare se la sentenza, impugnata ha fatto buon
governo della disposizione contenuta nell’articolo 5, sesto comma, della
legge n.898/1970, come interpretata da questo supremo collegio, con la
sentenza citata, nel fissare il principio di diritto cui il giudice del
rinvio doveva uniformarsi.
Orbene, la corte fiorentina, avendo stabilito che la separazione
effettiva dei coniugi si era verificata tra il la fine del 1982 e
l’inizio del 1983, ha accertato documentalmente che, a quell’epoca, il
tenore di vita della famiglia era quello corrispondente ad un reddito a
molto elevato, che sarebbe divenuto ancor più elevato secondo
ragionevoli e legittime aspettative d’incremento del reddito stesso.
Le condizioni economiche della A., verificate in base agli atti,
risultano invece assolutamente non comparabili a quelle dell’ex coniuge,
sicchè non le consentono di mantenere un simile tenore di vita.
Da questa argomentazione, fondata sull’apprezzamento di elementi
probatori di fatto, non suscettibile di riesame in questa sede, ed
ineccepibile sul piano logico-giuridico – ragion per cui non è dato
ravvisare la denunziata violazione o falsa applicazione di legge – la
corte di merito fa giustamente derivare il diritto della A. ad ottenere
l’assegno di divorzio.
Altro e separato giudizio è quello basato sugli indizi che servono a
determinare la misura dell’assegno di divorzio; ragion per cui le
argomentazioni usate per stabilire la sussistenza del diritto non
svolgono diretta influenza su quelle utilizzate successivamente per
fissarne la misura; nè possono essere poste in contrapposizione con
queste, per arguirne contraddittorietà ed omissioni nella motivazione.
Infatti la corte di merito, dopo avere accertato la sussistenza, alla
stregua delle predette considerazioni, del diritto della A. a percepire
l’assegno di mantenimento, argomenta, "quanto all’entità di tale
assegno", utilizzando i criteri di cui al comma sesto dell’articolo
5, legge n.898/1970, e precisamente: la durata della convivenza
coniugale, la nascita di tre figli dal matrimonio, l’addebito della
responsabilità della separazione, il contributo alla conduzione
familiare ed alla formazione del patrimonio familiare, riflessi sulla
condizione economica della A. derivanti dalla sua lunga convivenza con
persona diversa dal marito.
Le valutazioni di fatto e le conclusioni cui giunge, con ragionamento
esente da vizi, il giudice di merito in ordine all’applicazione di detti
criteri alla fattispecie concreta sfuggono anch’esse, ovviamente, alla
possibilità di riesame in sede di legittimità . Nè corrisponde alla
realtà che la corte fiorentina si sia limitata a riprodurre in sentenza
una "semplice elencazione" dei criteri di legge, tale da non
consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a
base della decisione, in quanto ciascuno dei criteri elencati è stato,
sia pur succintamente, valutato e pesato.
Cosí, in particolare, la durata del matrimonio è stata determinata
in sedici anni e, a fronte di questa, è stato considerato che la
convivenza extra-coniugale ha ormai avuto una durata uguale a quella del
matrimonio ossia devesi ritenere talmente stabile che, pur non
escludendo – secondo la corte del merito – il diritto dell’A.
all’assegno, influisce comunque sulla relativa entità (e ciò, in
conformità a costante giurisprudenza di questo supremo collegio: cfr.
Cass. I, nn.3720/1993, 4761/1993, 5024/1997 – citata dal giudice a quo
-, 3503/1998); quanto all’addebito nella separazione ed all’entità del
contributo dato dalla ricorrente alla conduzione familiare ed alla
formazione del patrimonio familiare – contributi che, secondo la corte
di merito, non risultano di particolare entità – si rimanda alle
argomentazioni che saranno svolte in ordine al secondo motivo, essendo
qui sufficiente riaffermare che l’elencazione dei criteri non è pura e
semplice, essendo accompagnata da elementi di concreta valutazione.
Ne consegue l’inammissibilità e l’infondatezza di questo motivo di
gravame.
Col secondo mezzo la ricorrente denunzia violazione e falsa
applicazione dell’articolo 5, sesto comma, della legge n.898/1970 come
successivamente modificata, in relazione al criterio della "durata
del matrimonio" quale interpretato dalla corte di cassazione in
relazione agli articoli 9, terzo comma, e 12bis, secondo comma, della
stessa legge; e, inoltre, omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia.
La ricorrente in proposito deduce, sotto un primo profilo, che la
corte di merito ha erroneamente considerato, tra i fattori determinanti
la riduzione dell’assegno, l’addebito della separazione alla moglie,
laddove risulterebbe provato, mediante documento scritto, l’accordo
esistente tra i coniugi per far ricadere la colpa della separazione
sulla A. al solo fine di escluderla dai diritti di successione nei
confronti dell’ex marito; documento idoneo a fornire la prova di un
fatto decisivo, regolarmente prodotto in giudizio e non esaminato dal
giudice dell’appello.
Sotto un secondo profilo, la sentenza impugnata è sottoposta a
censura per avere dato eccessivo peso, nel determinare la misura
dell’assegno, all’eventuale colpa della A., a fronte di un matrimonio
durato ben ventisette anni – considerando che esso deve ritenersi
terminato non alla data di cessazione della convivenza, bensí a quella
della pronunzia di cessazione degli effetti civili, alla stregua degli
stessi criteri interpretativi usati da questa suprema corte in relazione
agli articoli 9, terzo comma, e 12bis, secondo comma, della legge
n.898/1970 – o, comunque, di lunga durata, da cui erano anche nati tre
figli.
Sotto un terzo profilo, la ricorrente critica la sentenza d’appello,
per avere ritenuto non sufficienti a costituire particolare contributo
alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio familiare,
gli aiuti economici forniti dai suoi genitori agli inizi della vita
coniugale; e, specialmente, per non avere ammesso gli specifici capitoli
di prova, per interrogatorio e testi letteralmente riprodotti nel
ricorso.
Il motivo è infondato sotto il primo profilo poichè – considerato
che l’addebito della separazione alla A. è stato definitivamente
attribuito in sede giudiziale (come esplicitamente annota la sentenza
impugnata, a pagina 4), che trattasi peraltro di materia in cui diritti
e doveri sono indisponibili (Cass. n. 5762/1997) e che la situazione di
convivenza more uxorio si è protratta per tanti anni da doversi
ritenere ormai "pacificamente del tutto consolidata" (pagina 8
della sentenza impugnata) – l’esame, da parte della corte d’appello,
della dichiarazione con cui il T. assume che "la separazione
personale ….sarà pronunziata dal Tribunale di Lucca con addebito di
responsabilità a costei (alla moglie, n.d.r.) …. solo sulla base di
una confessione generica da essa rilasciata al fine di perdere i diritti
successori nei miei confronti", non costituiva elemento decisivo,
tale da condurre cioè, se specificamente esaminato, ad una diversa
decisione sulla misura dell’assegno. E ciò, sia perchè non rilevano,
in generale, i motivi per cui una parte s’induce a fare confessione di
un fatto peraltro "pacifico" sia perchè il comma sesto
dell’articolo 5 in esame, nell’indicare le "ragioni della
decisione" fra gli elementi determinanti la misura dell’assegno,
postula una valutazione non attinente alle sole cause determinanti la
separazione, bensí estesa all’intero arco della vita coniugale ed anche
al comportamento successivo dei coniugi, in quanto abbia costituito –
come, appunto, la lunga ed ormai consolidata convivenza more uxorio –
obiettivo impedimento al ripristino del consorzio coniugale (Cass.
nn.11978/1992, 15055/2000).
Anche sotto il secondo profilo questo mezzo di gravame è infondato,
perchè una convivenza di tipo coniugale di lunghissima durata, pari
ormai a quella stessa del matrimonio, è considerata giustamente di
elevato peso, al fine della limitazione dell’assegno di divorzio, non
solo per la ragione appena detta, relativa all’obiettivo impedimento che
ne deriva per il ripristino del consorzio familiare, ma anche perchè –
come ha esattamente rilevato la corte del merito – non può non avere
riflessi sull’effettiva condizione economica della richiedente (cfr.
Cass. nn.3720/1993, 5024/1997), pur non giungendo all’esclusione totale
del diritto all’assegno, che si verifica soltanto in caso di passaggio a
nuove nozze (articolo 5 cit., comma decimo).
Nei limiti di questo specifico punto in discussione, considerate le
caratteristiche assunte dalla convivenza, non riveste alcuna importanza
stabilire se la durata del matrimonio debba calcolarsi con riferimento
alla data della sentenza che ne dichiarò cessati gli effetti civili
ovvero alla data di effettiva interruzione della convivenza coniugale,
poichè le conseguenze, in termini di determinazione della misura
dell’assegno, non mutere