SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
SENTENZA
Fatto e diritto
In data 6/11/2001 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Pordenone disponeva sequestro probatorio di documentazione contabile varia
riferibile alla Srl. (omissis) considerata "pertinente al reato"
di cui all’art. 3,D.Lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta, ai
fini della determinazione dell’I.R.P.E.G. per l’ anno 1997, di elementi
attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, attraverso la
creazione di una "contabilità parallela" a quella ufficiale e
la predisposizione di un sistema informatico fraudolento di travisamento
dei dati, con evasione di imposta pari a lire 192.942.122), ipotizzato nei
confronti di (omissis) nella qualità di amministratore unico della stessa
S.r.l. Con ordinanza 20/11/2001 il Tribunale di Pordenone rigettava
l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagato.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il (omissis), il quale ha
eccepito: la insussistenza del fumus delicti, non potendosi ravvisare il
reato di cui all’art. 3 D.Lgs. n. 74/2000, in relazione a condotte
antecedenti all’entrata in vigore di tale norma e dovendo ritenersi del
tutto carenti gli elementi costitutivi della fraudolenza; l’illegittima
estensione del sequestro a documentazione riferita ad esercizi diversi
dall’anno 1997.
Il ricorso deve essere rigettato, poichè infondato.
1) L’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000 punisce qualsiasi soggetto obbligato
alla tenuta delle scritture contabili che, al fine di evadere le imposte
sui redditi o l’imposta sul valore aggiunto, indica, in una delle
dichiarazioni prodotte per dette imposte, elementi attivi per un ammontare
inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi sulla base di una
falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, mediante
mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento.
La norma in esame delinea la fattispecie della dichiarazione fraudolenta
mediante artifici diversi dall’utilizzazione di fatture o altri documenti
per operazioni inesistenti e l’elemento qualificante del reato (che ne
segna il discrimen anche rispetto all’ipotesi della mera dichiarazione
infedele) è rappresentato dalla presenza di una condotta insidiosa,
derivante dall’impiego di artifici idonei a fornire una falsa
rappresentazione contabile ed a costituire ostacolo al suo accertamento.
La semplice violazione degli obblighi di fatturazione e registrazione, pur
se finalizzata ad evadere le imposte, non è sufficiente, di per sè, ad
integrare il delitto in esame, dovendosi invece verificare, nel caso
concreto, se essa, per le modalità di realizzazione, presenti un grado di
insidiosità tale da ostacolare l’attività di accertamento
dell’amministrazione finanziaria.
La Circolare ministeriale 4/8/2000 n. 154/E della Direzione centrale
affari giuridici chiarisce che "Al riguardo puo’ essere decisiva la
presenza di violazioni sistematiche e continue o la tenuta di una
contabilità in nero o l’utilizzo di conti correnti bancari per le
operazioni destinate a non essere contabilizzate".
La configurazione del delitto è subordinata, infine, al superamento
congiunto di due soglie di punibilità: a) deve esservi un’evasione di
taluna delle singole imposte superiore a 150 milioni di lire; b)
l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione,
anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, deve essere
superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati
in dichiarazione o, comunque, superiore a 3 miliardi di lire.
2) L’art. 4, lett. f), della legge n. 516/1982 sanzionava già come
delitto le condotte di "chiunque, al fine di evadere le imposte sui
redditi o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire
l’evasione o indebito rimborso a terzi… indica nella dichiarazione dei
redditi (ma non anche in quella relativa all’imposta sul valore aggiunto),
ovvero nel bilancio o rendiconto ad essa allegato, al di fuori dei casi
previsti dall’art. 1, ricavi, proventi od altri componenti positivi di
reddito, ovvero spese od altri componenti negativi di reddito in misura
diversa da quella effettiva utilizzando documenti attestanti fatti
materiali non corrispondenti al vero, ovvero ponendo in essere altri
comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento di fatti
materiali".
Il delitto di cui all’art. 3 dei D.Lgs. n. 74/2000 puo’ avere un nesso di
continuità normativa con quello di frode già sanzionato dall’art. 4,
lett.
f); della legge n. 516/1982 (nonostante l’espressa abrogazione del titolo
I di quest’ultima legge, ad opera dell’art. 25, 1 comma – lett. d), del
D.Lgs. n. 74/2000 e l’abolizione dei principio di ultrattività delle
leggi penali tributarie, già posto dall’art. 20 della legge n. 4/1929, ad
opera dell’art. 24, I comma, del D.Lgs. 30/12/1999, n. 507), stante
l’omologa strutturazione e la sovrapponibilità delle due previsioni
punitive (salva l’estensione dell’attuale incriminazione alla
dichiarazione annuale I.V.A.:
vedi, in proposito, Cass., Sez. Unite, 25/10/2000, n. 27, Di Mauro ed
altro), esclusivamente quando la documentazione contraffatta o alterata
con mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento sia stata a suo
tempo utilizzata in concreto, da un soggetto obbligato alla tenuta delle
scritture contabili, con una ricaduta in dichiarazione – redatta sulla
base della contabilità precedentemente artefatta con modalità insidiose
– quale strumento della falsa indicazione di elementi attivi e passivi
(diminuzione dei primi o aumento dei secondi rispetto ai dati reali) e con
il superamento congiunto delle soglie di punibilità, oggi previste (in
attuazione dell’art. 9, 2 comma – lett. a), della legge delega 25/6/1999,
n. 205, che ha imposto la previsione di un numero ristretto di fattispecie
delittuose, caratterizzate da rilevante offensività per gli interessi
dell’Erario).
In tema di sequestro probatorio, il sindacato del giudice dei riesame non
puo’ investire la concreta fondatezza dell’accusa (il cui riscontro è
riservato al giudice della cognizione nel merito), ma deve essere limitato
alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito
ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato ed al controllo
dell’esatta qualificazione dell’oggetto del provvedimento come "corpo
del reato" o "cosa pertinente al reato".
L’accertamento del fumus commissi delicti va effettuato, pertanto, solo
sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati e posti a
fondamento del provvedimento che non possono essere censurati in punto di
fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali,
ma vanno valutati cosi come esposti per verificare appunto se consentono
di ricondurre l’ipotesi di reato formulata in una di quelle tipicamente
previste dalla legge (vedi Cass.- Sez. VI, 3/3/1998, Campo; Sez. II,
22/5/1997 Acampora).
Il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova, sicchè per la
sua adozione non è necessario che sussistano indizi di colpevolezza nei
confronti di una determinata persona, ma è sufficiente che esistano
elementi tali da far configurare l’esistenza di un reato e ritenere la
relazione necessaria o il rapporto pertinenziale fra la cosa oggetto del
sequestro ed il reato stesso.
Al fini del sequestro di cui trattasi, quindi, non è necessario che il
fatto noto sia accertato, ma è sufficiente che risulti ragionevolmente
probabile in base a specifici elementi (Cass., Sez. VI, 30/4/1993, Bermen).
Il Tribunale correttamente ha ravvisato il fumus del reato di cui all’art.
3 del D.Lgs. n. 74/2000 (con riferimento alle precedenti previsioni
dell’art. 4, lett. f), della legge n. 516/1982) poichè – in relazione
agli elementi prospettati dall’accusa (emergenti da verifica fiscale
effettuata dalla Guardia di Finanza) – ha evidenziato che la società
amministrata dall’indagato non si sarebbe limitata ad attuare una
contabilizzazione di elementi attivi in termini inferiori al reale e ad
istituire una contabilità parallela, bensi’ avrebbe dato vita ad un
sistema articolato e complesso per realizzare sistematicamente il
"nero" sia sui ricavi che sui costi, anche attraverso l’utilizzo
di supporti informatici, con creazione di specifici codici e procedure di
accesso, idonei fra l’altro a fornire fraudolente indicazioni all’esterno
in caso di controllo fiscale.
Tali elementi appaiono sufficienti in sede cautelare, spettando ovviamente
ai giudici del merito l’ulteriore approfondimento e la compiuta verifica,
alla stregua dei principi dianzi enunciati.
Il sequestro probatorio, in quanto mezzo di ricerca della prova dei fatti
costituenti reato, non puo’ per cio’ stesso essere fondato sulla prova del
carattere di pertinenza ovvero di corpo di reato delle cose oggetto del
vincolo, ma solo sul fumus di esso, cioè sulla mera possibilità dei
rapporto di esse con il reato. Qualora, quindi, dal complesso delle prime
indagini tale fumus emerga, il sequestro si appalesa non solo legittimo ma
opportuno, in quanto volto a stabilire di per sè o attraverso le
successive indagini che da esso scaturiscono, se esiste il collegamento
pertinenziale tra res e illecito (Cass. Sez. H, 20/11/1999, n. 3273).
La nozione di "cose pertinenti al reato" include (oltre al
corpus delicti e ai producta sceleris) tutte le cose che servono anche
indirettamente, ad accertare la consumazione dell’illecito, il suo autore
e le circostanze del reato, con riferimento ad ogni possibile legame,
individuabile caso per caso, tra le cose stesse e l’accertamento
dell’illecito, che sia ritenuto rilevante ai fini del processo (vedi Cass.,
Sez. VI, 20/5/1997, n. 1506).
Nella fattispecie in esame la documentazione sequestrata coerentemente è
stata considerata "pertinente al reato" ipotizzato, in quanto
motivatamente ritenuta idonea a dimostrare la immutazione fraudolenta
della realtà contabile e documentale della società verificata (la
verifica della contabilità non puo’ essere disgiunta dall’esame della
progressione e della interconnessione dei dati, riferiti anche al
susseguirsi degli esercizi, e non puo’ non tenere, conto dell’evoluzione
aziendale e delle correlate movimentazioni economiche e finanziarie),
nonchè la sistematicità, complessità ed articolazione del meccanismo
evasivo. Non puo’ contestarsi, pertanto, la logica configurazione del
fumus di un collegamento pertinenziale e della rilevanza, ai fini dei
processo, tra documenti siffatti ed il reato ipotizzato (si pensi, ad
esempio, al rilevamento dei metodi costanti d’impostazione contabile e dei
criteri utilizzati per la determinazione dell’esercizio di competenza).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2002.