LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il G.i.P. presso il Tribunale di Catanzaro, con
ordinanza in data 26 marzo 2001, applicava nei confronti di Zaccuri
Angelo, la misura cautelare degli arresti domiciliari, in quanto indagato
del delitto di estorsione continuata, nell’ambito di un procedimento che
vede indagate 14 persone, che, nella loro qualità di imprenditori,
amministratori, capi squadra e coordinatori di aziende operanti nel
settore delle imprese di pulizia avrebbero posto in essere un sistema
estorsivo generalizzato nei confronti dei dipendenti delle aziende stesse,
che sarebbero stati costretti ad accettare trattamenti retributivi
deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate, in quanto non
avrebbero avuto altre possibilità lavorative proprio in considerazione
della diffusione di tali comportamenti estorsivi nel contesto delle
attività delle imprese di pulizia.
I reati contestati nell’ambito del suddetto
procedimento sono quelli di associazione per delinquere ed estorsione,
mentre allo Zaccuri è contestato unicamente il reato di estorsione nella
sua qualità di gestore di fatto della impresa Pulizie Jonica.
Il Tribunale osservava che poteva configurarsi il reato
di estorsione soltanto nei confronti di un dipendente dell’impresa di
pulizie, che in effetti aveva ricevuto minacce esplicite, mentre nei
confronti degli altri dipendenti non si evidenziava la ricorrenza della
minaccia, in quanto questi avevano dichiarato di essersi accordati
verbalmente con la titolare dell’azienda nel senso di percepire una
retribuzione non parametrata alle effettive ore lavorative.
Ciò precisato, il Tribunale non riteneva sussistenti
le esigenze cautelari inerenti alla acquisizione della prova essendo stati
acquisiti i documenti societari e non emergendo altri elementi di
pericolo; ne riteneva sussistente il pericolo della reiterazione criminosa
atteso che la commissione del reato risale al 1997 e che lo Zaccuri,
sostanzialmente incensurato, nel frattempo si è astenuto dal commettere
azioni criminose.
Propone ricorso per cassazione il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, il quale deduce la
contraddittorietà dell’argomentare della ordinanza impugnata che
ritiene configurabile il reato di estorsione nei casi in cui le minacce
nei confronti del lavoratore siano esplicite, in considerazione delle
condizioni di soggezione morale e sociale del lavoratore stesso, mentre
poi esclude la configurabilità dello stesso reato nei casi in cui vi sia
stato un accordo contrattuale.
Infatti, secondo il P.M. ricorrente non potrebbe essere
valutato come accordo contrattuale il comportamento del lavoratore che è
indotto ad accettare le condizioni impostegli dal datore di lavoro per la
consapevolezza della posizione di supremazia di costui e delle conseguenze
inevitabili della mancata accettazione delle condizioni stesse.
Il P.M., inoltre, deduce assoluta carenza motivazionale
con riferimento alla asserita mancanza delle esigenze cautelari, in quanto
il cardine dell’intera indagine sarebbe costituita dalla prova orale e
da ciò discenderebbe la necessità di tutelare le fonti di prova nei
confronti di concrete azioni volte a condizionare l’agire collaborativo
dei dipendenti dell’impresa.
Per quanto concerne le esigenze di cautela sociale, il
P.M. ricorrente afferma che lo Zaccuri avrebbe posto in essere condotte
gravi e reiterate nel tempo in danno di moltissimi dipendenti, segno di un
agire per nulla occasionale ma stabile e organizzato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso sono fondati.
Il collegio osserva che è giurisprudenza costante di
questa Suprema Corte che, in tema di estorsione, ai fini della
configurabilità del reato sono indifferenti la forma o il modo della
minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o larvata,
diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determina o
indeterminata, purchè comunque idonea, in relazione alle circostanze
concrete, a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo.
La connotazione di una condotta come minacciosa e la
sua idoneità ad integrare l’elemento strutturale del delitto di
estorsione devono essere valutate in relazione a concrete circostanze
oggettive, quali l’ingiustizia della pretesa, la personalità
sopraffattrice dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso
opera, le particolari condizioni soggettive della vittima, vista come
persona di normale impressionabilità , a nulla rilevando che si verifichi
un’effettiva intimidazione del soggetto passivo (Sez. I, 10/1-
21/5/1980, n. 6416, Del Cosimo, riv. 145382; Sez. I, 22/1- 21/5/1980, n.
6424, Cassaro, riv. 145387; Sez. II, 1/10/1982, n. 969, Borin, riv.
151919; Sez. II, 8/6- 12/10/1983, n. 8224, Paraino, riv. 160268; Sez. Vi,
25/2- 13/5/1998, n. 5569, Pera, riv. 210526; Sez. Vi, 26/1- 16/3/1999, n.
3298, Savian, riv. 212945).
Nel caso di specie, pertanto, la circostanza che vi sia
stato un accordo contrattuale tra il datore di lavoro e il lavoratore non
esclude, di per se, la sussistenza degli estremi del reato di estorsione,
in quanto uno strumento giuridico teoricamente legittimo può essere usato
per scopi diversi da quelli per cui è stato apprestato e può integrare,
al di la dell’apparenza esteriore, una minaccia ingiusta, perchè
ingiusto è il fine a cui esso tende, idonea a condizionare la volontà
del soggetto passivo, particolarmente interessato ad assicurarsi una
possibilità lavorativa che sarebbe altrimenti esclusa.
In altri termini, il giudice di merito deve valutare se
la condotta dell’indagato sia stata posta in essere nella sola
prospettiva di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno,
attraverso un percorso comportamentale che, al di la dell’aspetto
formale dell’accordo contrattuale, poneva certamente la vittima in uno
stato di soggezione, ravvisabile nell’alternativa di accedere
all’ingiusta richiesta dell’agente o di subire un più grave
pregiudizio, anche se non esplicitamente prospettato, ravvisabile nella
specie nell’assenza di altre possibilità occupazionali, escluse dalle
generali circostanze ambientali e/o delle specifiche caratteristiche
assunte (anche per l’eventuale configurabilità di un’associazione per
delinquere) da una speciale settore di impiego della manodopera.
Alla luce di tali principi, la semplice dichiarazione
dei dipendenti dell’impresa Pulizie Jonica di essersi accordati
verbalmente con la titolare dell’azienda nel senso di percepire una
retribuzione non parametrata alle effettive ore lavorative non è
sufficiente di per se, in assenza di una complessiva valutazione di tutti
gli elementi sopra evidenziati, ad escludere il reato di estorsione e,
quindi, risulta giuridicamente viziata la motivazione sul punto della
ordinanza impugnata.
Tale vizio incide sulla valutazione delle esigenze
cautelari, in quanto, solo alla luce di un a corretta decisione in merito
alla configurabilità dei reati contestati sarà possibile effettuare la
valutazione delle suddette esigenze, anche in considerazione della
necessità evidenziata dal P.M. ricorrente di tutelare le dichiarazioni
testimoniali a supporto dei reati eventualmente configurabili in
applicazione dei principi di diritti come sopra formulati.
L’ordinanza deve, dunque, essere annullata con rinvio
al Tribunale di Catanzaro per nuova decisione che si uniformi alla
presente sentenza per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa
decisa.
PQM
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuova
decisione al Tribunale di Catanzaro.
Roma, 13 novembre 2001.
Depositata in Cancelleria l’11 febbraio 2002.