LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Pretore di Roma ha respinto la domanda del dr.
Roberto Possenti volta ad ottenere la condanna del datore di lavoro al
pagamento di lire un miliardo, a titolo di risarcimento dei danni subiti
nell’incidente automobilistico causato dallo stress lavorativo.
Il Tribunale di Roma con sentenza 27 maggio- 7 dicembre
1998 n. 21494, ha respinto l’appello principale del Possenti e
l’appello incidentale con cui il datore di lavoro chiedeva la
restituzione della retribuzione pagata durante la mattina conseguente
all’infortunio.
A fondamento della decisione il Tribunale ha posto il
principio di diritto secondo cui una condotta umana (nella specie del
datore di lavoro, per asserita violazione dell’art. 2087 cod. civ.) può
essere ritenuta causa di un determinato evento solo quando questo appaia
come conseguenza normale dell’antecedente, nel senso che tra questo e
l’effetto conseguenziale deve esistere un rapporto di sequenza costante,
secondo un calcolo di regolarità statistica, si da potersi ritenere che
il pregiudizio rientri nelle normali conseguenze dell’illecito, secondo
il criterio della c.d. regolarità causale; viceversa, deve escludersi il
nesso eziologico tra il comportamento umano e l’evento ove le
conseguenze verificatesi siano eccezionali alla stregua di un giudizio di
probabilità ex ante, quale un incidente stradale rispetto alla condizioni
lavorative stressanti.
Sulla base di tale principio, il Tribunale ha ritenuto
irrilevanti le prove richieste dal Possenti in primo grado (e quindi
corretta la decisione negatoria del Pretore), volte a dimostrare gli orari
di lavoro stressanti e la richiesta al datore di lavoro di spostamento di
sede, motivata anche con le particolari condizioni familiari (moglie
operata di tumore).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
Cassazione il Possenti, con due motivi.
Si sono costituiti con controricorso, resistendo, la
intimata Banca Nazionale dell’Agricoltura s.p.a. e la sua assicuratrice
SAI, chiamata in causa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i due motivi di ricorso, da esaminare
congiuntamente per la loro connessione, il ricorrente, deducendo
violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2110, 2087, 2043,
2697 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censura la
sentenza impugnata nella parte in cui, per erronea interpretazione
dell’art. 2087 cod. civ. [1], non ha ammesso le prove ritualmente
richieste in primo grado, volte a dimostrare che l’incidente trova causa
nello stress derivante dagli orari di lavoro, dalle condizioni di
trasferta, e dalle particolari condizioni familiari (moglie operata di
tumore), note al datore di lavoro, e per le quali aveva richiesto uno
spostamento di sede; nonchè per contraddittorietà tra esigenze
probatorie e negata ammissione delle stesse.
Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha respinto le richieste
probatorie, volte a provare, secondo la prospettazione del ricorrente, la
colpa del datore di lavoro nel disporre condizioni lavorative estremamente
stressanti, unitamente a condizioni familiari note al medesimo datore di
lavoro, tali da costituire causa dell’infortunio stradale occorso, in
quanto ritenute irrilevanti rispetto alla nozione accolta di nesso causale
ai sensi dell’art. 2087 c.c., inteso secondo il criterio della c.d.
regolarità causale, quale collegamento tra causa ed effetto legati da
necessaria regolarità statistica.
Il principio cosí enunciato nella sentenza impugnata
è erroneo, e contrario all’insegnamento di questa Corte.
Nel sistema risarcitorio civilistico un evento dannoso
è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre
condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo
(cosiddetta teoria della conditio sine qua non): ma nel contempo non è
sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità
giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali cosí
determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si
produce l’evento causante, non appaiano del tutto inverosimili
(cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale,
la quale in realtà oltre che una teoria causale, è anche una teoria
dell’imputazione del danno).
Più in particolare l’incidenza eziologica delle
cause antecedenti va valutata, per un verso, nel quadro dei presupposti
condizionanti (per cui deve trattarsi di antecedente necessario
dell’evento dannoso, a questo legato da un rapporto di causazione
normale e non straordinario) e, per altro verso, in coordinazione con il
principio della causalità efficiente, che contemporaneamente la regola
della equivalenza causale, espunge appunto le cause antecedenti dalla
serie causale (facendole scadere al rango di mere occasioni) in presenza
di un fatto sopravvenuto di per se idoneo a determinare il determinarsi
dell’evento anche senza quegli antecedenti (Cass. 10 maggio 2000 n.
5962; Cass. 24 maggio 1968 n. 1599; Cass. 25 luglio 1967 n. 1945).
Venendo all’interpretazione dell’art. 2087 cod. civ.,
tale norma non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva (Cass.
3 aprile 1999 n. 3234), in quanto la responsabilità del datore di lavoro
va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da
norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del
momento.
Dato però il carattere contrattuale di tale
responsabilità (Cass. 26 ottobre 1995 n. 11120), ai fini del suo
accertamento incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa
dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di
provare esclusivamente l’esistenza di tale danno, la nocività delle
condizioni di lavoro e il nesso causale tra questi due elementi.
Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze,
grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte
le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno ovvero che il
danno lamentato dal dipendente non è ricollegabile all’inosservanza di
tali obblighi (Cass. 18 febbraio 2000 n. 1886; Cass. 7 novembre 2000 n.
14469, Cass. 3 settembre 1997 n. 8422; Cass. 17 luglio 1995 n. 7768).
In applicazione di tali principi, questa Corte ha
ritenuto che il nesso causale rilevante ai sensi dell’art. 2087 cod. civ.,
diversamente da come erroneamente opinato dal Tribunale, non è riservato
agi eventi che costituiscono conseguenza necessitata della condotta
datoriale, secondo un giudizio prognostico ex ante, ma si estende a tutti
gli eventi possibili, rispetto ai quali la condotta datoriale si ponga con
un nesso di causalità adeguata (la rapina, per stare alla fattispecie
esaminata dalla citata sent. 8422/1997, non è una conseguenza necessaria
della mancata adozione di misure di sicurezza da parte di una banca, ma
semplicemente possibile).
Non è sufficiente il semplice concorso di colpa del
lavoratore per interrompere il nesso causale, sicchè l’imprenditore è
esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente
presenti i caratteri dell’esorbitanza, atipicità ed eccezionalità
rispetto alle condizioni di lavoro (Cass. 17 febbraio 1999 n. 1331);
occorre una condotta dolosa del lavoratore, ovvero la presenza di un
rischio elettivo generato da un’attività non avente rapporto con lo
svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso (Cass. 17 novembre
1993 n. 11351).
Pertanto anche una condizione lavorativa stressante
(nella specie per sottorganico) può costituire fonte di responsabilità
per il datore di lavoro (Cass. 1 settembre 1997 n. 8267).
Analogamente non si può escludere a priori che vi sia
un nesso causale, per un lavoratore obbligato o autorizzato all’uso di
autoveicoli nell’espletamento delle proprie mansioni in situazione di
trasferta, tra le condizioni di stress e l’incidente stradale, senza
prima consentire la prova richiesta (ed ovviamente la controprova
ritualmente richiesta) di tutte le circostanze del caso.
Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata
cassata, e gli atti trasmessi alla Corte d’appello di L’Aquila, la
quale deciderà la causa attenendosi alla nozione di nesso causale sopra
indicata.
Il giudice di rinvio provvederà alle spese del
presente giudizio.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza
impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di
L’Aquila.
Roma, 25 ottobre 2001.
Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2002.