Lavoro

Infortuni in itinere, non indennizzabili su brevi distanze. L’INAIL non è tenuto a risarcire gli incidenti in motorino su tragitti percorribili a piedi. Cassazione 15617/2001)

Non è risarcibile come infortunio sul lavoro l’incidente
in motorino avvenuto su un percorso che, data la vicinanza dell’ufficio
all’abitazione del lavoratore, poteva agevolmente essere effettuato a piedi. Un
ulteriore limite all’indennizzabilità  del c.d. "infortunio in
itinere" è stato posto dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che
ha respinto il ricorso di una impiegata fiorentina che rivendicava il diritto al
riconoscimento dell’indennizzo INAIL per inabilità  temporanea al lavoro in
quanto, mentre si recava in ufficio con il motorino, aveva avuto un incidente

 

Suprema Corte di Cassazione,
Sezione Lavoro, sentenza n.15617/2001

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 16 aprile 1998, il Pretore del
lavoro di Firenze rigettava la domanda proposta da Adriana Calamassi nei
confronti dell’INAIL al fine di vedere riconosciuto il carattere di
infortunio sul lavoro, nella tipologia dell’infortunio in itinere,
all’evento lesivo verificatosi il 15 maggio 1996, alle ore 7,30 del
mattino (caduta della ricorrente dal proprio ciclomotore mentre si
dirigeva presso la ditta Cartotecnica Maestrelli di Sovigliana, ove
lavorava), con la condanna dell’Istituto alla corresponsione
dell’indennità  per inabilità  temporanea e della rendita conseguente ad
uno stato di inabilità  permanente, oltre accessori.

Il primo Giudice riteneva che l’evento lesivo subito
dalla ricorrente non fosse indennizzabile ai sensi del D.P.R. n. 1124 del
1965 [1] in quanto la parte non aveva dimostrato l’impossibilità  di
raggiungere il posto di lavoro avvalendosi di un mezzo pubblico di
trasporto ne, del resto, aveva provato la circostanza di essere stata
costretta al ritorno presso la propria abitazione per consumare il pranzo.

Non vi era, dunque, alcuna specifica ragione idonea a
giustificare l’impiego di quel mezzo privato, considerato che anche la
distanza di un chilometro o poco più tra l’abitazione ed il luogo di
lavoro ben poteva essere agevolmente percorsa a piedi.

Con ricorso depositato il 4 luglio 1998, la Calamassi
impugnava la decisione, insistendo nell’accoglimento delle originarie
domande, previo espletamento di un’indagine medico- legale in relazione
alla lamentata inabilità  temporanea e permanente.

L’INAIL si costituiva resistendo al gravame, di cui
chiedeva il rigetto.

Con sentenza del 28 ottobre- 4 novembre 1998 l’adito
Tribunale di Firenze rigettava l’appello compensando interamente tra le
parti le spese del grado.

Osservava il Tribunale, confermando la tesi del primo
giudice, che, tenuto conto della distanza di appena un chilometro circa
tra l’abitazione dell’assicurata ed il posto di lavoro, percorribile a
piedi al massimo in una ventina di minuti, l’impiego del motorino non
era in alcun modo necessitato, rappresentando la pratica realizzazione di
un c.d. rischio elettivo, che escludeva il diritto all’indennizzo.

Ricorre per cassazione Adriana Calamassi con un unico
motivo, ulteriormente illustrato da memoria.

Resiste l’INAIL con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso Adriana Calamassi
deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del D.P.R. 30 giugno
1965 n. 1124 [2] anche in relazione agli artt. 3, 37, 31, 30 e 29 Cost.,
nonchè contraddittoria e comunque insufficiente motivazione su un punto
decisivo della controversia, insistendo nel sostenere la sussumibilità 
della fattispecie concreta nell’ambito dell’infortunio in itinere, e,
come tale, da ritenersi indennizzabile.

Il ricorso è fondato.

Come è noto, il D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 non ha
disciplinato, se non nell’ipotesi dei marittimi (art. 6), l’infortunio
che si verifichi mentre il lavoratore si reca al lavoro o fa ritorno
all’abitazione.

Il carattere eccezionale dell’art. 6 cit. ha
costituito argomento per confermare che il legislatore del 1965 non ha
inteso estendere, quanto meno in maniera indiscriminata, la tutela
assicurativa alle ipotesi di mero collegamento dell’evento
infortunistico con la prestazione lavorativa, ossia alle attività 
accessorie e preparatorie compiute dal lavoratore per recarsi al posto di
lavoro o per tornare.

Partendo da tale premessa, la più recente
giurisprudenza di questa Corte, cui va prestata adesione, dando specifica
rilevanza alla previsione della mera occasione (di lavoro), quale
presupposto dell’indennizzabilità  art. 2 D.P.R. n. 1124/1965), si è
orientata nel senso che il lavoro preso in considerazione dalla legge, in
quanto espone il lavoratore al rischio, costituisce esso stesso in
definitiva, fattore occasionale del rischio tutelato; con la conseguenza
che il requisito della occasione di lavoro finisce con l’attribuire
rilievo ad ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado
maggiore o minore di questo, assumendo il lavoro, come precisato, il ruolo
di fattore occasionale del rischio stesso, con l’unico limite, ed in tal
modo si è inteso rispettare la sopra rilevata mancata previsione
legislativa, costituito dal rischio elettivo (intendendosi per tale quello
che, estraneo e non attinente all’attività  lavorativa, sia dovuto a una
scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente,
in base a ragioni o impulsi personali, una situazione diversa da quella
inerente all’attività  lavorativa, ponendo cosí una causa interruttiva
di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento: ex plurimis, Cass. 30 maggio
1995 n. 6088).

Corollario di tali enunciazioni è che, allorquando
l’utilizzo della pubblica strada sia imposto dalla necessità  di
raggiungere il posto di lavoro, particolarmente ove la strada pubblica
conduca esclusivamente ad esso e non siano dunque possibili al lavoratore
scelte diverse, si configura un rapporto finalistico, o strumentale, tra
l’attività  di locomozione e di spostamento (tra luogo di abitazione e
quello di lavoro, e viceversa) e l’attività  di stretta esecuzione della
prestazione lavorativa, che di per se è sufficiente ad integrare quel
quid pluris richiesto per la indennizzabilità  dell’infortunio in
itinere (cfr. Cass. 17 maggio 2000 n. 6431).

Il che viene a determinarsi sia quando il lavoratore,
per recarsi sul luogo di lavoro o per tornare alla propria abitazione, usi
un mezzo pubblico, sia quando debba necessariamente usare un mezzo di
trasporto particolare che non sia quello solitamente usato dalla generalità 
degli utenti della strada, come nel caso di necessità  dell’uso del
veicolo privato per l’assenza o l’inadeguatezza di mezzi pubblici (cfr.
Cass. 2291/92), sempre naturalmente che la distanza tra l’abitazione del
lavoratore e il luogo di lavoro sia tale da non poter essere percorsa a
piedi, nel qual caso è proprio la necessità  dell’uso del mezzo privato
che viene meno (Cass. 11 novembre 1997 n. 8929).

Tale orientamento è stato recepito dal legislatore, il
quale con la legge 17 maggio 1999 n. 144, ha delegato il Governo (art. 55
lett. U) a dettare una specifica normativa per la tutela dell’infortunio
in itinere, ponendogli come criterio direttivo il recepimento dei principi
giurisprudenziali consolidati in materia; ed il legislatore delegato,
nell’attuare la delega con l’art. 12 del D.Lgs. 23 febbraio 2000 n.
38, si è ispirato al conclusivo approdo della giurisprudenza di
legittimità  sopra richiamata, riconoscendo la tutela assicurativa agli
infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di
andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, escludendo
l’operatività  della tutela nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto
privato salvo che esso non sia necessitato.

Orbene, il Tribunale ha diligentemente indagato in
ordine alle circostanze di fatto caratterizzanti la situazione in esame,
osservando, per quanto concerne le contestazioni mosse dalla Calamassi in
questa sede, che la distanza tra la casa ed il luogo di lavoro era di
circa un chilometro, come da affermazione dell’INAIL non contraddetta
dalla conrtoparte.

Ha quindi, coerentemente, osservato che l’impiego del
motorino per percorrere tale tratto di strada rappresentava la pratica
realizzazione di un c.d. rischio elettivo, dal momento che tale scelta non
era in alcun modo necessitata per consentire alla lavoratrice il disbrigo
delle normali incombenze familiari, specie considerando che
l’effettuazione del percorso a piedi, anche per una persona sessantenne
non affetta da disturbi nella deambulazione, poteva essere al massimo
contenuto in una ventina di minuti.

Ne d’altro canto, ad avviso del Tribunale, poteva
assumere rilevanza ai fini della risoluzione della controversia nel senso
auspicato dalla Calamassi, la comodità  che l’uso del ciclomotore veniva
a determinare in ordine all’acquisto della spesa domestica alla fine del
lavoro.

Avendo, dunque, il Tribunale di Firenze congruamente
motivato le ragioni delle sue conclusioni ed essendosi al contempo
adeguato ai principi elaborati in materia da questa Corte, del tutto
aderenti a quelli costituzionali, richiamati dalla ricorrente, il ricorso
deve essere rigettato.

Nulla per le spese ex art. 152 disp. att. c.p.c..

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Roma, 26 luglio 2001.

NOTE:

[1] D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle
disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali).

[2] Art.2 D.P.R. n.1124/1965: L’assicurazione
comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in
occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità 
permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità 
temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre
giorni.

Agli effetti del presente decreto, è considerata infortunio sul
lavoro l’infezione carbonchiosa. Non è invece compreso tra i casi di
infortunio sul lavoro l’evento dannoso derivante da infezione malarica,
il quale è regolato da disposizioni speciali.


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