Clausole abusive nei contratti, Italia in ritardo. Condanna per non aver recepito integralmente il divieto europeo – Corte di giustizia europea 24.1.2002
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta
Sezione) 24 gennaio 2002 “Inadempimento di uno Stato – Direttiva del
Consiglio 93/13/CE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i
consumatori – Mezzi destinati a far cessare l’uso di dette clausole”
Nella causa C-372/99, Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. P.
Stancanelli, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata inizialmente dal sig. U. Leanza,
in qualità di agente, assistito dal sig. P.G. Ferri, avvocato dello
Stato, successivamente dal sig. U. Leanza, assistito dal sig. G. de Bellis,
avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica
italiana, non avendo adottato i provvedimenti necessari per:
– applicare le disposizioni della direttiva del Consiglio 5 aprile
1993, 93/13/CEE , concernente le clausole abusive nei contratti stipulati
con i consumatori (GU L 95, pag. 29), a tutti i contratti stipulati tra un
consumatore e un professionista;
– recepire l’art. 5, terza frase, della suddetta direttiva, e
– recepire integralmente gli artt. 6, n. 2 e 7, n. 3, della stessa
direttiva,
è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della suddetta
direttiva,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta dai sigg. P. Jann (relatore), presidente di sezione, D.A.O.
Edward e A. La Pergola, giudici,
avvocato generale: S. Alber
cancelliere: R. Grass
vista la relazione del giudice relatore,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 20 settembre 2001,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1.
Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 6
ottobre 1999, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi
dell’art. 226 CE, un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica
italiana, non avendo adottato i provvedimenti necessari per:
– applicare le disposizioni della direttiva del Consiglio 5 aprile
1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati
con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la
"direttiva"), a tutti i contratti stipulati tra un consumatore e
un professionista;
– recepire l’art. 5, terza frase, della suddetta direttiva, e
– recepire integralmente gli artt. 6, n. 2, e 7, n. 3, della stessa
direttiva,
è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della suddetta
direttiva.
La direttiva
2.
Ai sensi del suo art. 1, n. 1, la direttiva è volta a ravvicinare le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati
membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un
professionista e un consumatore.
3.
L’art. 7 della direttiva recita:
"1. Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei
concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci
per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati
tra un professionista e dei consumatori.
2. I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che
permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale
abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a
seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi
amministrativi competenti affinchè stabiliscano se le clausole
contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere
abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare
l’inserzione di siffatte clausole.
3. Nel rispetto della legislazione nazionale, i ricorsi menzionati al
paragrafo 2 possono essere diretti, separatamente o in comune, contro più
professionisti dello stesso settore economico o associazioni di
professionisti che utilizzano o raccomandano l’inserzione delle stesse
clausole contrattuali generali o di clausole simili".
4.
Ai sensi dell’art. 10, n. 1, della direttiva, gli Stati membri dovevano
mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi a quest’ultima entro il 31
dicembre 1994.
Normativa nazionale
5.
La direttiva in esame è stata recepita nell’ordinamento giuridico
italiano con la legge 6 febbraio 1996, n. 52, intitolata
"Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria
1994" (supplemento ordinario n. 24 alla GURI n. 34 del 10 febbraio
1996). Tale legge ha inserito nel codice civile italiano (in prosieguo: il
"codice civile") gli artt. 1469 bis – 1469 sexies.
6.
L’art. 1469 sexies, primo comma, del codice civile dispone:
"Le associazioni rappresentative dei consumatori e dei
professionisti e le Camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, possono convenire in giudizio il professionista o
l’associazione di professionisti che utilizzano condizioni generali di
contratto e richiedere al giudice competente che inibisca l’uso delle
condizioni di cui sia accertata l’abusività ai sensi del presente
capo".
7.
Nell’ambito del procedimento in esame la Repubblica italiana ha
rilevato che l’art. 7 della direttiva è stato trasposto anche mediante
l’art. 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281, intitolata "Disciplina
dei diritti dei consumatori e degli utenti" (GURI n. 189 del 14
agosto 1998; in prosieguo: la "legge n. 281/98").
8.
L’art. 3, primo comma, della legge n. 281/98 recita:
"1. Le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite
nell’elenco di cui all’articolo 5 sono legittimate ad agire a tutela degli
interessi collettivi, richiedendo al giudice competente:
a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei
consumatori e degli utenti;
(…)".
9.
L’art. 5 della legge n. 281/98 stabilisce le condizioni che le
associazioni dei consumatori devono soddisfare per poter essere inserite
nell’elenco menzionato dall’art. 3 di detta legge. Questo elenco è
predisposto dal Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato.
Procedimento
10.
Ritenendo che la direttiva non fosse stata integralmente trasposta
nell’ordinamento italiano entro il termine prescritto, la Commissione ha
avviato il procedimento per inadempimento. Dopo aver invitato la
Repubblica italiana a presentare le proprie osservazioni, la Commissione
ha emesso, il 18 dicembre 1998, un parere motivato con il quale invitava
tale Stato membro ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro
due mesi dalla notifica. Poichè la risposta della Repubblica italiana a
tale parere era stata ritenuta insoddisfacente dalla Commissione,
quest’ultima ha proposto il ricorso di cui trattasi.
11.
Dato che il governo italiano aveva precisato, nel proprio controricorso,
che la legge 21 dicembre 1999, n. 526, intitolata "Disposizioni per
l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle
Comunità europee – Legge comunitaria 1999" (supplemento ordinario n.
15 alla GURI n. 13 del 18 gennaio 2000), ha inserito nel capitolo XIV bis
del codice civile le modifiche richieste dalla Commissione per quanto
riguarda le prime tre censure del ricorso, quest’ultima, con atto
depositato il 17 maggio 2000, ha informato la Corte che, in conformità
all’art. 78 del suo regolamento di procedura, rinunciava parzialmente al
suddetto ricorso, tenendo fermo ormai quest’ultimo con riguardo soltanto
alla censura relativa all’art. 7, n. 3, della direttiva.
Nel merito
Sulla portata dell’obbligo menzionato dall’art. 7, n. 3, della
direttiva
12.
Secondo la Commissione, l’art. 7 della direttiva disciplina uno degli
aspetti fondamentali della tutela instaurata da tale testo, vale a dire il
procedimento che ha per scopo di "far cessare" l’inserzione
delle clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e
consumatori. Tale obiettivo richiederebbe che tale procedimento possa
essere promosso non solo contro i professionisti che utilizzino tali
clausole, ma anche contro le organizzazioni professionali o altri
professionisti che ne raccomandino l’inserzione. Non sarebbe necessario
attendere che clausole redatte nella prospettiva di un’utilizzazione
generalizzata siano concretamente inserite in un contratto individuale.
13.
Il governo italiano contesta tale interpretazione. Sostiene che il
procedimento previsto dall’art. 7 della direttiva ha per scopo di fare
cessare l’"inserzione" delle clausole abusive. Un’utilizzazione
effettiva e non solo potenziale di queste ultime costituirebbe pertanto un
requisito essenziale.
14.
A tale proposito occorre ricordare che, nella sentenza 27 giugno 2000,
cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Ocèano Grupo Editorial e Salvat
Editores (Racc. pag. I-4941, punto 27), la Corte ha statuito che il
sistema di tutela istituito dalla direttiva si basa sull’idea che la
diseguaglianza tra il consumatore e il professionista possa essere
riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti
estranei al rapporto contrattuale. Per questo motivo l’art. 7 della
direttiva, il quale, al n. 1, impone agli Stati membri di fornire mezzi
adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive,
precisa, al n. 2, che tali mezzi comprendono la possibilità per le
organizzazioni di consumatori riconosciute di adire le autorità
giudiziarie perchè queste accertino se clausole redatte per un uso
generalizzato siano abusive e, eventualmente, ne dichiarino l’illiceità .
15.
La natura preventiva e la finalità dissuasiva delle azioni che devono
essere attuate, nonchè la loro indipendenza nei confronti di qualsiasi
conflitto individuale concreto, implicano, come ha ammesso la Corte, che
dette azioni possano essere esercitate anche quando le clausole di cui sia
invocata l’illiceità non siano state inserite in un contratto
determinato, ma soltanto raccomandate da professionisti o da loro
associazioni (v. citata sentenza Ocèano Grupo Editorial e Salvat Editores,
punto 27).
16.
Ne consegue che l’art. 7, n. 3, della direttiva deve essere
interpretato nel senso che esso richiede l’attuazione di procedimenti che
possono essere diretti anche contro taluni comportamenti che si limitino a
racccomandare l’uso di clausole contrattuali di natura abusiva.
Sul recepimento dell’art. 7, n. 3, della direttiva nell’ordinamento
giuridico italiano
17.
La Commissione osserva che l’art. 1469 sexies del codice civile
consente di convenire in giudizio solo i professionisti o le associazioni
di professionisti che utilizzano clausole abusive, il che limiterebbe gli
effetti preventivi dell’azione inibitoria prevista dall’art. 7 della
direttiva.
18.
L’art. 3, primo comma, lett. a), della legge n. 281/98 non
consentirebbe di colmare tale lacuna. Anzitutto, poichè l’azione prevista
da tale disposizione ha un carattere più generale rispetto a quella
prevista dall’art. 1469 sexies del codice civile, quest’ultimo dovrebbe
prevalere nei procedimenti riguardanti clausole abusive. Inoltre,
ammettendo che l’azione prevista dall’art. 3 della legge n. 281/98 possa
essere promossa contro coloro che raccomandano l’utilizzazione di clausole
abusive, si tratterebbe di un’interpretazione praeter legem, se non
addirittura contra legem, che non soddisfarebbe i requisiti di chiarezza e
precisione che devono contraddistinguere i provvedimenti nazionali di
recepimento. Infine, detta disposizione definirebbe la categoria dei
soggetti legittimati ad agire più restrittivamente rispetto a quanto
disposto dall’art. 1469 sexies del codice civile, comportando quindi tra
coloro che utilizzano le clausole abusive e i soggetti che ne raccomandano
l’uso una disparità di trattamento incompatibile con l’art. 7 della
direttiva.
19.
Il governo italiano osserva che nell’ipotesi di un uso effettivo di
clausole abusive può rientrare un comportamento che raccomandi l’uso di
dette clausole in base all’art. 3 della legge n. 281/98, la quale riguarda
"i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli
utenti". Il principio per cui la norma speciale deroga alla norma
generale non rileverebbe per regolare i rapporti tra gli artt. 1469 sexies
del codice civile e 3 della legge n. 281/98, in quanto si tratta di norme
non sostanziali, ma processuali. Quanto alla definizione dei soggetti
legittimati a chiedere l’inibitoria delle clausole abusive, il governo
italiano rileva che l’art. 7, n. 3, della direttiva rinvia al diritto
nazionale.
20.
A tale riguardo si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della
Corte, si deve valutare la portata delle disposizioni legislative,
regolamentari o amministrative nazionali tenendo conto
dell’interpretazione che ne danno i giudici nazionali (v., in particolare,
sentenze 8 giugno 1994, causa C-382/92, Commissione/Regno Unito, Racc.
pag. I-2435, punto 36, e 29 maggio 1997, causa C-300/95, Commissione/Regno
Unito, Racc. pag. I-2649, punto 37).
21.
Nella fattispecie, per quanto riguarda, in primo luogo, l’art. 1469
sexies del codice civile, occorre constatare che il testo di tale
disposizione prevede la legittimazione ad agire solo contro l’uso di
clausole abusive. L’avvocato generale ha tuttavia rilevato, al paragrafo
30 delle sue conclusioni, che la giurisprudenza italiana interpreta il
termine "uso" in modo estensivo, sicchè in esso risulta
compresa anche la raccomandazione di clausole abusive.
22.
Tuttavia, dalle pronunce dei giudici italiani, citate nelle note 10 e
11 delle conclusioni dell’avvocato generale, risulta che detta recente
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